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It’s got nothing to do with rock. It’s to do with roll (cit.)

Fender Telecaster Micawber (on Pinterest)Un giorno ho scoperto che la voce del banjo mi risuonava dentro in modo particolare. E questo ormai lo sapete tutti, fino alla noia.

Un giorno ho realizzato che c’è certa musica, ci sono certi accordi e certe armonizzazioni che riescono a coinvolgermi più di altri. Mi ci riconosco, senza che sia in grado di spiegare perché (anzi, se c’è qualcuno che ne sa… io e Elena avremmo un bel malloppo di domande sul tema)

Facciamo un esempio: molte canzoni dei Rolling Stones mi fanno questo effetto. Al di là di qualunque considerazione su bravura, originalità, capacità artistica o tecnica, sta di fatto che gli Stones mi “appartengono” molto più – perché è inevitabile fare il paragone, no? – dei Beatles. Che mi piacciono, ovviamente. Ma non mi somigliano.

Rolling Stones che, tra l’altro, ho scoperto molto tardi e che oggettivamente conosco assai poco. Ma quel poco che conosco… ci siamo capiti.

Anche per questo un giorno ho deciso di leggere Life. Ci ho messo un po’ a prendere il ritmo, perché la scrittura di Keith Richards (e/o del suo compare Fox) è un po’ dispersiva e difficile per me, con un sacco di slang e frasi idiomatiche e allusioni continue a droghe di cui non ho mai sentito parlare, eccetera.

Ma non è importante. L’importante è che da qualche giorno ero riuscita finalmente a entrarci dentro, a leggere fluidamente. E in una notte di emicrania, con il chiodo piantato dietro l’occhio destro, mentre fuori pioveva a dirotto, la lettura mi ha portata qui: The big discovery late in 1968 or early 1969 was when I started playing the open five-string tuning. It transformed my life.

Attenzione.

E qualche riga dopo: And then I found out all this stuff about banjos.

E così ho scoperto una cosa che probabilmente gli appassionati di musica sanno da un’era geologica ma che io ignoravo totalmente, e cioè che Keith Richards ha mutuato dal banjo l’accordatura aperta in Sol, togliendo il Mi basso e riaccordando le 5 corde rimanenti. E ci ha scritto e suonato molte canzoni, con soddisfazione sua e di tutti noi.

Io non lo sapevo, ecco. Prima di scegliere il banjo non sapevo nemmeno che esistessero, gli open tunings! E poi una notte, per caso, scopro che le cose che mi piacciono, mi caratterizzano e (probabilmente) mi definiscono sono lì in giro, tutte in qualche modo collegate da questo filo sottile che ancora non riesco a chiamare per nome.

è una sensazione elettrizzante.

The beauty, the majesty of the five-string open G tuning for an electric guitar is that you’ve only got three notes—the other two are repetitions of each other an octave apart. It’s tuned GDGBD. Certain strings run through the whole song, so you get a drone going all the time, and because it’s electric they reverberate. Only three notes, but because of these different octaves, it fills the whole gap between bass and top notes with sound. It gives you this beautiful resonance and ring. I found working with open tunings that there’s a million places you don’t need to put your fingers. The notes are there already.

You can leave certain strings wide open. It’s finding the spaces in between that makes open tuning work. And if you’re working the right chord, you can hear this other chord going on behind it, which actually you’re not playing.

It’s there. It defies logic. And it’s just lying there saying, “Fuck me.” […]

Il resto – che poi sono pagine vibranti di bellezza e di passione – l’ho estratto faticosamente dal mio kindle e ve ‘ho messo qui.

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